L’interoperabilità “umana” vera chiave per fare la PA digitale: come realizzarla

23 Novembre 2021
Tipo articolo: 

Immagine rappresentativa

Quando si parla di trasformazione digitale della PA, è tramite la collaborazione, l’eliminazione dei silos, la riduzione del potere gerarchico e il potenziamento del potere reputazione e della value creation — quindi con l’interoperabilità umana — che riusciremo ad arrivare a risultati concreti. Ecco come fare
no degli ingredienti fondamentali necessari alla realizzazione degli obiettivi del PNRR sarà l’interoperabilità, ma — attenzione — non parliamo tanto di interoperabilità tecnica, quanto di interoperabilità “umana”.
La sfida culturale nella PA è proprio questa: interoperabilità umana a tutti i livelli, tra strutture centrali e locali, tra pubblico e privato, sia esterna che interna alle strutture. Il resto è “roba tecnica”, quindi che si può risolvere perché rientra nel mondo dei problemi complicati e non complessi.
Ma come realizzarla? Proviamo a spiegarlo.
Indice degli argomenti.

Una definizione di interoperabilità

In particolare (per far sì di conoscerne tutti bene il senso) la definizione di interoperabilità presa dalla Treccani è la seguente:
“Capacità di due o più sistemi, reti, mezzi, applicazioni o componenti, di scambiare informazioni tra loro e di essere poi in grado di utilizzarle. In una società globalizzata che vede una sempre crescente diversità di sistemi e di applicazioni, l’interoperabilità rende possibile lo sviluppo di mercati e sistemi globali, prevenendo gli indesiderabili effetti della frammentazione. In stretta sintesi l’interoperabilità è la chiave di un sano sviluppo della globalizzazione. Essa può essere di tipo tecnico e/o di tipo concettuale.”
Il primo tipo di interoperabilità e sicuramente il più importante, è quella umana.
Il secondo tipo di interoperabilità è quella tecnica.
La seconda è figlia della prima, perché molto più semplice e sviluppabile laddove c’è interoperabilità umana, condizione necessaria per sviluppare quella tecnica.
Ricordiamo infatti la definizione di interoperabilità: “capacità di due o più sistemi, reti, mezzi, applicazioni o componenti” a cui aggiungere, “persone, uffici, ruoli, business unit, gruppi di lavoro, team, dipartimenti, istituzioni” che lavorano insieme, scambiandosi informazioni, per conseguire un obiettivo comune, sia questo un prodotto, un servizio, un progetto, un risultato.

L’interoperabilità umana nella PA

In particolare, nella PA l’interoperabilità umana è l’esatto opposto del concetto di silos che la caratterizza, ovvero delle strutture di isolamento personale e informativo tipico degli ambienti di lavoro di vario tipo, soprattutto di quelli molto grandi, strutturati e burocratizzati. Questi silos si creano grazie a strutture “formali”1 dette anche “organigrammico/gerarchiche” poco flessibili, che portano alla conseguenza che l’informazione per muoversi orizzontalmente debba prima scalare tutta la gerarchia verso l’alto per poi ridiscendere verso il basso.
Il tempo richiesto per questo passaggio di più livelli di persone, nel quale le informazioni vengono filtrate, modificate più o meno coscientemente, cambiate per scelta, le rende non più integre e le rende obsolete e quindi fa perdere loro di valore e potenziale per il ricevente. Quando invece, grazie all’interoperabilità umana, le informazioni si muovono orizzontalmente rimangono fresche, inalterate e utili per generare altre idee e creare “informazioni aumentate”, ovvero “informazioni da informazioni”, “collegamenti da informazioni”, “soluzioni da informazioni”.

I tre livelli di una organizzazione

Si può sopperire a quanto indicato considerato i 3 livelli2 di un’organizzazione.

  1. La struttura formale (organigramma) che facilita la compliance
  2. La struttura informale (l’ambito delle influenze tra individui)
  3. La Value Creation Structure, ovvero come il lavoro viene effettivamente fatto, come accadono le cose sulla base di reputazione Inter-personale ed Inter-teamù

Articolo completo